RYPEN (17 gennaio 2021)

“Per una città educativa” (Luca Gallo)

Se “Le città invisibili” è una raccolta di pensieri che prendono la forma di città, o di città che prendono forma di pensieri, ho inteso trarre da questo intreccio alcune mie considerazioni, relative a quelle che ritengo possano avere un aspetto e un significato educativo. Del resto alla fine del libro lo stesso Calvino ci fornisce una riflessione e un consiglio per affrontare questo mondo tremendo e confusionario nel quale viviamo e dice: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Dunque un profondo messaggio educativo, che consiste nella libertà di scelta (perché ogni città ha il suo doppio e il suo rovescio) e quindi dipende da noi in quale modo decidere di essere sé stessi .
Ora quali di questi apprendimenti continui (intesi come sapere ed educazione permanente) potrebbero muoversi in tale prospettiva, e che possono emergere dalla lettura del libro di Calvino.Per citarne alcuni:
• L’importanza della conoscenza della propria cultura come l’insieme complesso delle idee, dei valori, dei comportamenti, dei linguaggi, degli usi, dei costumi, delle tradizioni, dei luoghi e della storia della propria città. La cultura, sia essa materiale (manufatti, prodotti tipici) che immateriale, è infatti il risultato dell’uomo nelle sue interazioni con l’ambiente naturale e la società e quindi del suo modo di vivere, di fare e di essere.
E tale conoscenza è oggi di fondamentale rilievo in una società globalizzata, dove non è possibile conoscere l’altro, se non conosciamo meglio noi stessi. Avere chiara la propria identità culturale è la base, il punto di partenza per accedere a nuove realtà, alle diversità qualunque esse siano, per meglio confrontarsi e relazionarsi con gli altri.
E questo contro quella che attualmente viene chiamata“cancelculture”, cultura della rimozione e che dilaga sui social media (e non solo). Cioè si tende a cancellare storie antropologiche di città e territori, personee quant’altro in nome di razzismo, sessismo, “elogio dell’oblio”,“amnesia del passato” e della dignità umana.
• Ognuna delle 55 città invisibili ha un nome femminile enigmatico, misterioso, dalle varie caratteristiche e di derivazione classicheggiante. Per citarne alcune: Zaira, Fedora, Ipazia, Ottavia,Cloe, Fillide, Leandra, Eusapia, Bersabea, Leonia, Berenice. Tutto questo sollecitadueriflessioni: 1)l’attenzione per la classicità che non finisce mai: così lontana, ma così vicina, quando l’umanità vive profonde trasformazioni; la classicità invoglia per sua natura, proprio perché lontana, a confronti con l’attualità del nostro tempo.
2)Il rispetto della città per le donne: alle pari opportunità nei vari settori della vita pubblica, alla valorizzazione della differenza di genere, realizzando percorsi educativi atti a costruire, sin dall’infanzia pratiche improntate appunto al rispetto reciproco e alla condivisione piuttosto che alla omologazione e alla dipendenza culturale e sociale.
• Le città sono un insieme di tante cose: tra l’altro di segni, di memoria, di ricordi, che fanno parte di quella intrinseca e invisibile bellezza coperta da tonnellate di edifici, di materiale da costruzione, di acciaio. Nelle“città e lamemoria” sottolinea appunto Calvino come “la città non dice il suo passato, locontiene come le linee di una mano”. Dunque educazione alla valorizzazione, promozione e rispetto del patrimonio storico e artistico.
• “Di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie ma la risposta che dà alla tua domanda” scrive Calvino. Ed è la frase che Marco Polo indirizza al Kublai Khan e che sintetizza in maniera straordinaria le caratteristiche della città contemporanea: una città che deve fare i conti con i diversi bisogni, le aspettative, i desideri e persino i sogni delle persone che l’abitano e la frequentano. Deve saper rispondere alla crescente e diversa domanda della propria gente, ma che rappresenta anche la straordinaria ricchezza delle nostre città. E’pertanto necessario saper ascoltare tutte le domande, anche le più deboli, capire le esigenze dette o spesso non dette (educazione dunque all’ascolto) per la realizzazione di una progettualità più vera e concreta.
La pandemia poi sta cambiando l’idea di città e ci sta dicendo quando sia urgente lavorare su di essa. Dobbiamo lavorare sulla città e prenderci cura dei luoghi, creare qualità agli spazi in cui viviamo e che non siano solo luoghi commerciali, ma istituzioni culturali che creino aggregazione e informazione (scuole, associazioni, musei, teatri, cinema e via dicendo).Offrire “servizi” per occasioni di socializzazione, preziose soprattutto per bambini, giovani e anziani.L’anno della pandemia ci ha aiutato a scoprire l’importanza del quartiere e delle relazioni che esso contiene e struttura.
Una città attenta dunque all’educazione alle relazioni umane, alla inclusione sociale e culturale per tutti. Inclusione che significa far parte senza dover per questo rinunciare alla propria identità e diversità. Ciò vale per il migrante, per le donne, per l’anziano e altri.
• Il colloquio tra Marco Polo e Kublai Khan è una testimonianza della conoscenza e del confronto reale o immaginario tra culture delle varie città, con i loro segni, le loro memorie, i loro scambi non solo di merci ma anche di parole, desideri e ricordi. Ma è anche la dimostrazione della validità significativa del dialogo fra appartenenti a culture diverse.Questa presenza di più e differenti culturecaratterizza oggi molte delle nostre città, tanto da definirle “città plurali”. Ora la questione della cittadinanza e della partecipazione sociale e civile dei migranti e del loro rapporto con i locali è un altro tema della città educativa: quello dell’educazione interculturale che assume una particolare importanza per la coesione sociale e per la convivenza democratica all’interno delle città. L’interculturalità implica infatti l’apertura dialettica, la disponibilità di comprensione, la relazione-reciproca nei confronti di soggetti-persone appartenenti a culture (qualunque esse siano) e questo senza venir meno alla propria, ma anzi arricchendola e moltiplicandone con il contatto e il confronto le potenzialità creative.
• E per concludere aspetto imprescindibile e irrinunciabile “per una città educativa” e che comprenda anche le indicazioni e suggestioni emerse dalla lettura del testo di Calvino, in precedenza evidenziate, è quello dell’educazione alla cittadinanza attiva che deve cioè riguardare tutti i soggetti di una comunità sociale e che va incentivata non solo a scuola, ma in tutti i contesti e livelli di appartenenza e in tutti gli altri luoghi dove si realizzano processi formativi (famiglia, associazioni,istituzioni sociali e politiche, mezzi di comunicazione, lavoro, ecc.), quali effettive “palestre di democrazia”, di apprendistato, di partecipazione e di sperimentazione della stessa idea di cittadinanza, con il rispetto anche delle regole e delle norme, dei principi di etica e di responsabilità sociale (educazione alla legalità). E “cittadinanza democratica” è l’espressione e la condizione che meglio racchiude e sintetizza questi significati, riuscendo a coniugare le città locali con quelle nazionali e globali. Del resto in che modo possiamo imparare a vivere insieme in un villaggio globale se non riusciamo a vivere insieme nelle città/comunità alle quali prioritariamente apparteniamo?.

Luca Gallo

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