A MATERA, PER MANTENERE IL SARCOFAGO DI ATELLA NEL MUSEO DI MELFI
Arriviamo a Lavello, io e Giovanni Navazio, che in questo anno pandemico si trova a fare il presidente del Rotary club di Melfi, dove ci aspetta Antonio Bisceglia, architetto, tessitore instancabile di relazioni umane.
Abbiamo appuntamento a Matera con la direttrice del Polo museale di Basilicata, architetto Annamaria Mauro, succeduta da alcuni mesi a Marta Ragozzino, per conoscerla e perorare la causa di far restare nel Museo archeologico di Melfi il sarcofago di età imperiale dove giaceva dalla seconda metà del II secolo d.C. Metilia Torquata. È stato ritrovato nel 1740 in contrada Mangone di Atella, lungo un antico tratturo, tra i resti di una grande villa romana della famiglia dei Metilii, sodale della corte imperiale antonina. Il sarcofago è di proprietà del Museo archelogico di Napoli che lo ha acquistato nel 1897 dalla famiglia Cittadini di Barile, succedutasi nel suo possesso ai principi Torella-Caracciolo; si trova in mostra a Melfi in prestito da quasi due anni, ma ormai è scaduto il termine, ed è in procinto di tornare a Napoli. L’appuntamento è presso la sede del Museo Ridola e lì, puntuali, arriviamo.
Porto con me alcune pubblicazioni edite dal Parco Letterario Federico II, quattro volumi della collana Augustali, il librone del Millenario della fortificazione di Melfi, il volumetto “Lettera di Natale” di Nigro, un monologo struggente sull’emigrazione dei giovani, da poco pubblicato proprio con il sostegno del Rotary club. Sono per la nuova direttrice a dimostrarle l’attenzione dei suoi interlocutori per la memoria storica del territorio.
Restiamo un po’ interdetti quando in portineria sembra non sappiano nulla dell’appuntamento e comunque ci fanno accomodare in attesa di essere ricevuti. Dopo un po’ di tempo, mentre ci guardiamo intorno perchè si intravedono gli antichi muri dell’edificio e ci lamentiamo per l’improvviso caldo, a Matera è estate piena, ci raggiunge una collaboratrice della direttrice, un po’ sorridente e un po’ contrita, per spiegarci che l’attesa avrebbe potuto anche protrarsi a lungo per via di una riunione in corso, senza possibilità d prevedere il termine.
Non decodifichiamo il messaggio come un invito a tornare in altra occasione e decidiamo di aspettare comunque, intanto andiamo a prendere un caffè, lasciando in custodia in portineria il borsone pieno di libri e pesante di cultura.
A Matera si respira aria di festa, la pandemia sembra ormai lontana, poche le mascherine in giro, bambini e non con il gelato in mano a ciondolare, come fanno i turisti quando passeggiano. Sui pericoli del Covid ammoniscono i cartelli d’ordinanza all’ingresso di bar e gelaterie, intimano, ormai senza troppa convinzione, di non fare assembramenti, di indossare la mascherina e di lavarsi le mani.
Attratti dall’insegna, capitiamo in una gelateria artigianale e prendiamo un cono da passeggio, ma non restiamo convinti della bontà assoluta del gelato e, anche per rifarci, andiamo a prendere il caffè in un bar sotto il palazzo Lanfranchi; conserva la pavimentazione antica in cotto a spina di pesce, con un terrazzo che apre la vista sul paesaggio dei Sassi e sulla collina dove Mel Gibson ha innalzato le croci del suo film “La Passione di Cristo”.
Il caffè lì costa un euro, non c’è alcun sovrapprezzo per la splendida vista e per il magnifico pavimento, ed è buono.
Misurando il tempo, ci affacciamo sul belvedere a fianco del palazzo Lanfranchi e della “Goccia” di Kenjiro Azuma, icona della città dal 2010, rappresenta il ciclo dell’acqua e della vita. È un anfiteatro unico, si innalzano gli speroni tufacei dove sono sovrapposte o scavate case dove le gocce d’acqua, raccolte ed incanalate, assicuravano la vita. Sta passando tempo e le distrazioni sono tante. Sulla porta d’ingresso della Direzione museale ci aspetta la segretaria della direttrice, ci sentiamo in colpa per il caffè e la vista dei Sassi, ma ne è valsa la pena.
Siamo introdotti nella sala riunioni e in un attimo ci raggiunge la direttrice.
Una donna dallo sguardo fermo, ma tenero ed accogliente, poggia sul tavolo la lettera che Giovanni Navazio le aveva fatto recapitare qualche giorno prima con la richiesta di allungare il prestito del sarcofago di Atella presso il Museo di Melfi perchè esso, con quello di Rapolla, racconta la storia millenaria del territorio e delle vie della transumanza. Non abbiamo bisogno più di tanto di circostanziare ed illustrare meglio la richiesta, ci dice subito di aver già avviato, con la dovuta attenzione anche per la forma, gli opportuni e preliminari contatti per far restare ancora a Melfi il reperto archeologico.
La colmiamo di sorrisi riconoscenti e cogliamo il senso vero della vicinanza delle istituzioni al territorio. Le facciamo dono dei libri che apprezza molto, incomincia a sfogliarli, restandone ammirata. Giovanni le consegna il gagliardetto del club.
Ci racconta che, all’inizio della sua carriera ha collaborato con la Soprintendenza nei lavori di restauro del castello di Melfi, e che proprio a Melfi ha stabilito rapporti duraturi di amicizia, ci informa anche che nei prossimi giorni sarebbe stata proprio in quel museo per inaugurare la mostra dei reperti medievali bloccata da anni. L’avremmo voluta abbracciare. Siamo poi andati in una sala del museo Ridola per una fotografia celebrativa dell’incontro lasciandoci con una promessa di buone notizie.
Francesco Corona